La dignità della politica

 

Spero mi sarà perdonato se prendo quasi alla lettera lo spirito di un blog: un diario dove appuntare e condividere pensieri e riflessioni, anche se estemporanee e non attentamente filtrate da un ponderato studio.

Nell’ultimo post ho scritto che le colpe della crisi economica vanno ricercate in una visione politica. Questo significa che solo la politica può risolvere questa crisi. Eppure non sono tempi facili per la politica e per i politici, soggetti come sono quasi esclusivamente a dileggio o ad adulazione. Come fare allora per restituire dignità e fiducia alla politica o, il che è lo stesso, come fare perché i politici siano all’altezza dei tempi?

 Ovviamente, ed è quasi ormai un luogo comune, cambiare questa legge elettorale. Qualsiasi soluzione si trovi è sicuramente migliore di questa. Una legge i cui perniciosi effetti sono stai pesantissimi distruggendo la dignità della politica e, il che è peggio, riducendone la sua capacità di agire. Tra questi, due mi sembrano quelli più macroscopici: 1) ha scardinato le logiche della democrazia invertendo il concetto di responsabilità politica: il politico allo scadere del suo mandato non si rimette al giudizio dell’elettorato, ma a quello del partito; è così premiata la sua fedeltà piuttosto che il suo agire nel perseguimento del benessere generale; 2) ha esasperato, di conseguenza, ancora di più le divisioni politiche introducendo di fatto il vincolo di mandato nei confronti del partito o dei capi corrente: bianchi o neri, guelfi o ghibellini. Il risultato è l’esasperazione della lotta politica, tra due schieramenti ormai trincerati: mors tua vita mea.

 La necessità di restituire credito ai politici ha, negli ultimi anni, preso una strada che a me pare, quantomeno, non essenziale: le scuole di formazione politica dei partiti. Non perché lo studio non sia fondamentale per la politica, anzi l’idea tanto diffusa che la politica in quanto arte possa fare a meno delle scienze politiche credo abbia creato disastri. Ma perché, in primo luogo, nulla ci garantisce che un politico preparato dedichi la sua azione al ben pubblico. In secondo luogo, rafforza quel concetto di selezione della “classe politica”, o espressione ancora più brutta della “classe dirigente” (nessuno parla mai di “classe diretta!”), che è un modo diverso per dire cooptazione.

 L’altra strada che si sta cercando di imboccare è quella della riduzione del numero dei parlamentari e dell’imposizione di un tetto alla possibilità del rinnovo dei mandati. Ora, a me pare che la prima proposta sia non essenziale e probabilmente, sottolineo probabilmente, anche dannosa. Se infatti si guarda alle democrazie parlamentari che hanno la nostra stessa densità abitativa per chilometro quadrato, si può notare una cosa interessante. Se si limita la conta alle sole camere basse (la camera dei rappresentati per intenderci, in modo da non alterare il dato con le diverse conformazioni istituzionali Camera dei Lord, o Senato delle regioni tedesco) si nota che il numero dei rappresentati è più o meno simile a quello italiano. Se poi si prende il caso francese e si include anche il Senato i numeri sono gli stessi del corpo legislativo italiano. Stessa cosa, su per giù, vale anche per il Giappone. Ripeto il raffronto va fatto sulla base della densità abitativa e non sul valore assoluto della popolazione. Per questo chiedo, e la domanda non è retorica, ridurre il numero dei parlamentari credo significhi ridurre il numero dei collegi, così facendo non si riduce anche la rappresentatività?

 La seconda proposta – un tetto al numero dei mandati – è, a mio parere, esclusivamente dannosa. E’ uno schiaffo in faccia alla sovranità popolare e genera delle prassi assai perniciose. Basti dare un’occhiata a quanto succede a livello comunale. Questo provvedimento non impedisce al cattivo amministratore di conquistarsi una inamovibilità né di mettere al potere un suo facente funzioni finché egli stesso non potrà ricandidarsi. Ma la cosa peggiore è che induce a questo cattivo costume soprattutto il buon amministratore che, godendo della fiducia popolare, vuole continuare la sua opera. E’ un provvedimento, dunque, solo deleterio. Perchè se il fine è quello di impedire che si formi un ras locale senza con ciò danneggiare il buon governo e la sovranità popolare, la soluzione dovrebbe essere quella di aumentare le possibilità di ricambio più che creare un ostacolo artificiale come quello ora previsto per alcuni livelli del governo locale. A tale proposito sarebbe interessante provare ad analizzare quali siano gli effetti “dell’ansia della fine del secondo mandato” sulla politica estera americana, quando non si combatte più per conquistare il consenso, ma per conquistarsi un posto nella storia.

 Come fare dunque per restituire dignità alla politica? Se compito della politica è garantire il benessere generale, credo che niente sia più dannoso all’immagine di un politico (e quindi della politica tutta) del sospetto che attraverso il suo mandato egli persegua il suo interesse personale o, per essere più espliciti, il suo arricchimento.

 L’entità del compenso dei parlamentari è certamente un’ombra che pesa su tutti i politici, non è un caso che tanti abbiano sentito il dovere di chiarire voce per voce le proprie entrare pubbliche. Questo compenso contribuisce ad offuscare l’immagine del politico, e potrebbe essere ridotto. Eppure non mi pare che sia questo il nocciolo della questione.

 Il sospetto più pericoloso è che il politico possa usare la sua carica e la visibilità che ne consegue per ottenere o mantenere altri guadagni, leciti, sia ben chiaro: dal parlamentare-avvocato, al parlamentare-editorialista, dal parlamentare-showman al parlamentare-tributarista, al parlamentare che percepisce un reddito da un privato (ma spero che tale caso sia già contemplato tra le norme che regolano l’incompatibilità della carica).

 Come fare per fugare questo sospetto allora? Credo che ci sia uno strumento molto utile ed efficace: le tasse. Una pesante tassazione su tutti i redditi che non dipendono direttamente dall’incarico ricoperto. Si ricordi che negli anni che Krugman ha definito della grande compressione (dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Ottanta) la tassazione del quintile più alto della fascia di reddito era del 91%. C’è sempre il sospetto che tali redditi possano giungere al politico in maniera indiretta, attraverso un socio, un parente o un affine. Ma non vedo il modo di poter intervenire normativamente in questo caso senza al contempo commettere anche una grave ingiustizia, quindi questo aspetto va tralasciato.

 Se è vero – come è vero – che sono le leggi e le istituzioni che fanno la bella politica è vero anche che sono le leggi e le istituzioni che possono contribuire a creare ottimi politici.

Proviamo a guardare il quadro che ne risulta. Il compenso del politico è stato ridotto in maniera ragionevole e non sotto l’influenza di furori antipolitici. I rimborsi spesa restano, ma, vista la riforma elettorale, ritornano ad essere le spese per il collegio. Può candidarsi ed essere eletto all’infinito, ma il suo unico reddito è quello che percepisce in quanto rappresentante. Può mantenere tutti gli incarichi e le proprietà che vuole, ma il reddito che da questi ne riceve è soggetto ad una fortissima tassazione.

Così facendo, mi pare, non solo si toglie dalle spalle del politico il sospetto che persegua il suo interesse personale, ma, probabilmente, lo lega a filo doppio all’interesse generale il cui perseguimento è la sua unica fonte di reddito. E quanti in futuro aspireranno a ricoprire un tale incarico lo faranno esclusivamente perché convinti di poter contribuire di più e meglio al benessere generale e non in quanto occasione di carriera ed arricchimento.

 Il risultato sarebbe la creazione di un professionista della politica. Un risultato che a me sembra vantaggioso ed opportuno e questo perché alla sfera politica compete la gestione delle immense complessità e sfide che ci troviamo di fronte in un mondo in cui interno ed internazionale non sono più separati da nessuna soluzione di continuità. Avere la quasi certezza di poter affidare il mandato popolare a politici votati all’interesse generale è un primo passo per poterle iniziare a migliorare le cose. Concludo con una domanda, questa sì retorica, se nessuno di noi metterebbe la propria salute nelle mani di un medico dilettante, perché mettere la salute pubblica nella mani di un dilettante della politica per giunta part-time?

Nunzio Mastrolia

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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